Salvatore Vella nacque ad Erice il 20 giugno 1969 ed è un magistrato italiano, Procuratore al Tribunale di Agrigento dal 2018. Dal 2012 fino al 2018 è stato Sostituto procuratore presso la Procura di Agrigento. Ha cominciato la sua attività di pubblico ministero a Sciacca. Dal 2004 al 2011 e dal 2014 al 2016 ha lavorato alla direzione distrettuale antimafia presso la Procura della Repubblica di Palermo.
Ha partecipato a diversi procedimenti penali per reati di criminalità organizzata di stampo mafioso e altro; Studioso e conoscitore del contrasto all’immigrazione clandestina.
Nel 2011 è autore, insieme a Mauro Baricca e Demetrio Pisani, del libro “La forza del gruppo” che ha venduto oltre 10 000 copie, in cui vengono citati anche episodi di mafia ed esempi di imprenditori che hanno denunciato il racket, come Ignazio Cutrò. (fonte Wikipedia)
Intervista del 19 Marzo 2022.
Perché hai voluto fare il magistrato?
Perché da giovane sentivo spesso le notizie dei due magistrati Falcone e Borsellino e pensavo che fossero buoni, inoltre in quel periodo molte
persone venivano uccise e non mi sembrava giusto, quando vedevo i due magistrati combattere contro questa ingiustizia mi ha suscitato il volere di fare lo stesso.
Come svolgi il tuo lavoro?
Io sono un Pubblico Ministero (PM) mi occupo delle indagini di un reato (delitto, furti…..) e spesso collaboro con la polizia e con i carabinieri.
Tutte le mattine vado in ufficio ad Agrigento e quando faccio delle indagini su omicidi solitamente vado sul posto insieme alle forze dell’ordine, interrogo i presenti, e mi procuro più prove possibili fino a che non trovo il colpevole, dopo di che chiedo ad un giudice di processare il colpevole e cerco di convincerlo attraverso prove sicure per arrestarlo.
Quando fai indagini sulla mafia chi ti aiuta?
Tutte le volte che ho fatto indagini sulla mafia mi ha aiutato molto la polizia, a volte anche alcuni ex mafiosi, oggi collaboratori di giustizia, che ci davano alcune informazioni. Solitamente per scoprire cosa hanno in mente i mafiosi usiamo registratori che mettiamo nelle auto e nei telefoni. Una volta mi è pure capitato che i due mafiosi non parlavano né in posti pubblici né al telefono né in macchina ma in una campagna isolata così abbiamo dovuto mettere un registratore sotto un albero.
Quali sono solitamente le conseguenze di queste indagini? Hai paura?
Poche volte i parenti dei mafiosi che arresto vengono a bussarmi a casa, ma la maggior parte delle volte mi arrivano delle lettere anonime che mi minacciano di morte con una lancia granate. Solitamente mi scoccio ma un po’ di paura ce l’ho, ma sono in allerta e cerco di far predominare il mio lato coraggioso.
Ti ricordi dove e cosa stavi facendo quando è stato ucciso Borsellino?
Mi ricordo che in quel periodo ero all’università a Roma, stavo studiando diritto penale nella mia camera, quando una mia compagna di università mi chiamò dicendo che Borsellino era stato fatto saltare in aria. All’inizio non ci credevo, perché era passato troppo poco tempo dall’omicidio di Falcone, ma quando ho capito che era la realtà mi sono accovacciato per terra a piangere. Una volta ero pure passato nel luogo del delitto con la macchina insieme ad un mio amico e c’erano ancora tutte le macerie ed era pieno di persone.
So che nel tuo ufficio ad Agrigento tieni appesa una lettera indirizzata al nonno da Manfredi Borsellino, il figlio di Paolo Borsellino. Perché hai
voluta esporla lì?
Perché mi ricorda il legame di amicizia tra Borsellino ed il nonno: nei primi anni della sua carriera Borsellino lavorava nella Procura (tribunale) di Mazara del Vallo e conosceva il nonno che faceva l’avvocato. Una volta il nonno l’ha addirittura ospitato a casa sua insieme alla moglie e i figli. Quando Borsellino morì il nonno, che in quel periodo era sindaco, ha cambiato il nome di una scuola media in “Paolo Borsellino”.
Sai cosa ha scritto il nonno in quella lettera?
So che scrisse molte cose personali sulla loro amicizia, infatti, nella lettera, Manfredi Borsellino sottolinea che sapere queste cose su suo padre gli ha regalato un momento di gioia.
Cosa sapresti dirmi di Borsellino?
So che dopo che finiva di lavorare andava insieme al maresciallo dei carabinieri a passeggiare al lungomare di Mazara.
La cosa che mi è piaciuta di più di lui è stata che quando, attraverso una registrazione, ha scoperto che la bomba che lo avrebbe fatto fuori era arrivata a Palermo, lui, invece di scappare, riconobbe il suo dovere da magistrato e il suo compito di giustizia e invece di tradire la Sicilia continuò il suo lavoro.