Il testo in versione originale e con traduzione a fronte
Desédet: introduzione
Ognuno di noi ragazzi ha scritto un tema sulla poesia Desèdet, scritta dal nostro professore di italiano. Da piccolo il prof è nato e vissuto a Oreno, ha frequentato la scuola dove ora insegna e nella quale, grazie a un pomeriggio con noi, si è ricordato del suo passato e di questa poesia. Nello stesso pomeriggio abbiamo fatto la traduzione in italiano dall’originale in dialetto orenese in modo che fosse comprensibile e abbiamo deciso di leggere ed esporre questa poesia durante la Domenica Insieme qui a scuola.
Dopodiché ci siamo divisi i compiti: c’è chi ha diviso le parti per i compagni e ha assegnato ad ognuno dei versi da recitare, chi si è occupato dell’introduzione e chi della conclusione e delle parti in coro. Tutti ci siamo impegnati molto nello scrivere il proprio tema e ne sono usciti degli ottimi lavori che hanno commosso il prof; come introduzione abbiamo scelto il tema di un nostro compagno di classe, Riccardo Loda, che per noi rappresenta e spiega al meglio la poesia del nostro prof.
Leonardo Bassani 3B
Desédet: la poesia e l’analisi
Desédet è una poesia scritta dal nostro professore di italiano.
Egli ci ha raccontato di aver scritto questa poesia mentre si trovava lontano da casa, lontano dalle proprie radici. In quel momento l’autore sentiva il bisogno di raccontare delle proprie origini, immaginando una sorta di rimprovero da parte di suo padre per essersi allontanato dalla propria terra per parecchi anni.
All’inizio di ogni strofa c’è scritto “Damm a tràa” o “Desèdet”, come se il padre richiamasse a sé l’attenzione del figlio. In ciò che segue avviene il vero e proprio rimprovero, che però non è fine a sé stesso. Infatti, dietro al contesto, che cambia di strofa in strofa, c’è un significato molto più profondo, che fa riflettere, e va oltre al valore delle proprie origini: quello che verrebbe definito il “Senso della vita”. Per l’autore, infatti il “Senso della vita” sarebbe da collegarsi al tema delle origini e, soprattutto verso la fine della poesia, a quello del silenzio.
Un’altra scelta molto particolare fatta dall’autore è quella di aver scritto la poesia in dialetto orenese. Ai giovani verrebbe naturale ricollegare il dialetto ai loro nonni, per chi ce li ha un po’ più vecchi, mentre chi ha i nonni più giovani, potrebbe darsi che non l’abbia mai sentito parlare, associandolo a una lingua morta.
La verità è che il dialetto è uno di quegli aspetti che caratterizza la zona, la città o il luogo da cui si proviene. Leggendo questa poesia mi sono accorto che, oltre dai miei nonni, espressioni come “Barlafüs”, “Capisnigòtt” e “Damm a tràa” sono comuni anche ai miei genitori, in modo particolare a mio papà.
Dato che i dialetti sono una conseguenza della frammentazione territoriale italiana, che ha caratterizzato la nostra penisola per secoli, probabilmente sono una prerogativa nostrana e di pochi altri paesi. Questo è un peccato, anche perché il dialetto cambia radicalmente da zona a zona e sarebbe interessante vedere questo modello applicato anche ad altre lingue. Un’altra cosa che sta succedendo è che il dialetto sta scomparendo, e da una lingua sta diventando quasi un accento.
Ciò fa perdere carattere alle varie zone della nostra penisola, facendoci dimenticare le nostre origini.
Sempre parlando di radici, esse sono per noi fondamentali, perché, proprio come in un albero, esse sono alla base per la vita e si diramano in modo unico, andando a creare delle forme irripetibili e complesse.
Infine, vorrei esprimere un giudizio personale sulla poesia, che è molto bella, in quanto profonda nel significato e, nonostante questo, non troppo pesante grazie al dialetto che rende la lettura più scorrevole e piacevole. Questo però non implica che non abbia un ruolo fondamentale nella poesia, infatti, il dialetto fa da “ponte” tra i vari argomenti dello scritto.
Riccardo Loda, 3B
Desédet, o anche “Svegliati”, è una poesia profonda che parla di un rimprovero da parte di un padre verso il figlio che magari si è allontanato troppo dalle sue radici, dalla sua famiglia, dalla propria terra di origine.
Questa poesia è stata scritta in dialetto orenese, luogo di origine e da cui erano sorte le origini del figlio. La poesia è stata ricostruita anche per merito dei nonni che vivevano ad Oreno da molto tempo.
Questa poesia è stata scritta nel 1999 e sottolinea il fatto che a volte bisogna ricordarsi le proprie origini e di non allontanarsi troppo dalle proprie radici perché senza di esse, una persona non può esistere.
La poesia sottolinea anche l’importanza della lingua dialettale usata per riaffiorare alla mente i ricordi di nostalgia, ricordi dolorosi, ma anche ricordi belli che sono ormai dimenticati.
L’importanza del dialetto è unica perché è come una scatola, uno scrigno, che conserva gli usi e i valori della comunità di cui si parla. E’ anche molto importante tutelare i dialetti perché oltre ad essere il nostro più efficace mezzo di comunicazione, ci aiuta a preservare la nostra identità e le nostre tradizioni.
La poesia contiene una anafora molto evidente ovvero “desédet”, “svegliati”.
La poesia mi è piaciuta molto perché credo che sia molto profonda e parli di un tema delicatissimo ossia quello delle origini. Mi è piaciuto anche di come la poesia sia stata scritta sotto forma di dialogo e di come sottolineasse l’importanza del dialetto e le brevi riflessioni tra una strofa e l’altra.
Riccardo Tamburini, 3B
Commento della poesia
Il nostro professore di Italiano, nonché l’autore di questa poesia, ne ha proposto la lettura grazie alla coincidenza di essere ritornato nel suo paese natale ad insegnare nella scuola dove è cresciuto. Ma soprattutto perché l’argomento di quest’anno è “riscopriamo le nostre origini” e questa poesia parla proprio del ricordo e del ritorno del professore alle sue origini.
La poesia è stata scritta nel 1999 da Citterio Marco, l’autore sente il rimprovero di suo padre che lo sgrida perché si è allontanato dalle sue origini andando via dall’Italia e rinnegando le sue radici orenesi. La poesia si intitola “Desédet” che significa svegliati e quindi ricordati delle tue origini, mi ha colpivo molto l’esempio dell’albero che senza le sue radici non può crescere e non può esistere.
Il padre lo invita ad ascoltarlo “Damm a trà” e ad ascoltare il silenzio, ad abbandonare tutti i suoi pensieri e di ritrovare i suoi antenati (trovare i tuoi morti) e i suoi ricordi (cascinotto pieno di cose), il padre lo vede spento e lontano vorrebbe dargli una carezza lunga tutta una notte perché l’amore che ha per lui è più di tutta la sua vita.
Desédet!
A ta se un capisnigòtt.
Una caressa
longa fina a dumàn matina
te vòeuria dà ’n su la guancia,
anima mea, anima piscinina.
Svegliati!
Non capisci nulla.
Una carezza
lunga fino a domani mattina
ti vorrei dare sulla guancia,
anima mia, anima piccolina.
Questo è il passaggio che preferisco perché mostra tutto l’amore di un genitore per un figlio, una carezza che dura tutta una notte per dire che durerebbe tutta la vita, il padre lo chiama anima mia per fargli capire che lui è come la sua anima, la parte più nascosta e importante di lui.
C’è una continua richiesta da parte del padre affinché il figlio si svegli dalla sua notte di pensieri e lontananza, lo invita a ricordare dove sono le chiavi “del suo cuore” e quelle di casa nascoste sotto lo zerbino, lo rimprovera di
essere pieno di se e pieno di parole, di essere superbo, di voler sembrare ciò che non è come una beghina (donna che fa finta di avere fede).
Il suo papà gli dice che il cuore umano è pieno di sentimenti, pieno di dolore e allegria, pieno di contraddizioni ma l’unica cosa che conta è trovare il proprio ritmo e scoprire il proprio canto, il proprio timbro e tono, le proprie origini; ma il silenzio è il bene più prezioso e ogni uomo deve trovare anche il suo silenzio, il suo sguardo sul mondo, il suo sguardo sul passato e sul ritorno alle origini.
L’autore decide di far leggere la sua poesia al suo papà quando scopre che è ammalato e la sua reazione alla lettura è emozionante, io penso che per un genitore vedere un figlio che riesce ad esprimere le proprie emozioni e a mostrare il suo talento è sempre commovente e riempie di orgoglio.
Questa poesia mi è piaciuta molto, più di alcune lette sul libro di letteratura e più di alcune lette su internet. Mentre la leggevo pensavo a mio papà, mi ha fatto capire che intenderò la sua importanza solo quando non ci sarà più. Forse non ho le doti per scrivere una bella poesia come quella del prof. però so che ognuno ha le sue abilità, probabilmente dedicherò a mio papà… oppure un lavoretto perché e quello che so fare. Le abilità sono come le origini, ci descrivono, non le possiamo dimenticare e sono la cosa che conosciamo meglio di noi.
Cloe Rebecca Casiraghi, 3B
Desédet è la poesia che ha scritto il nostro professore di italiano.
La considero un capolavoro, sembra esser stata scritta con il cuore in mano.
In questa poesia racconta liberamente ciò che lui provava nello scriverla.
Le nostre radici; le mie, sono ciò che ci rappresenta, che ci piacciano o meno non ci possiamo fare niente. Ma come fa a non piacerti il tuo modo di essere, la tua persona?
Le tue radici fanno ciò che sei oggi, le tue origini.
Desédet è una poesia che mi ha accarezzato il cuore; si percepiva la serietà, la serenità ma anche il coraggio di chi l’ha scritta.
Non è sicuramente facile ammettere le nostre sensazioni, ma si può fare.
Ci aiuta a crescere, a maturare e a capire i nostri sbagli.
Il nostro professore, infatti, parla, racconta al padre che si sente lontano dalle proprie origini e lui lo rimprovera.
“ svegliati “, desédet è il titolo della poesia e parla da solo.
Sembra che il professore in quel periodo della sua vita abbia gli occhi chiusi, non sa cosa stia facendo, sa solo che si sta allontanando dalle sue radici, e ciò fa male.
Passano gli anni e forse si iniziano a ricordare quei ricordi che speravi fossero svaniti.
Vuoi mentire sulle tue origini, ma è come se stessi mentendo a te stesso. In realtà lo stai facendo.
Svegliati! Apri gli occhi! Ricordati di noi.
Ricordati di chi ti ha cresciuto, come sei cresciuto e dove sei cresciuto.
E quando un giorno ritornerai sulla tua terra, e ti ricorderai di quel profumo di casa, saprai che ti era mancato.
La tua terra quando ritornerai ti abbraccerà, nonostante tutto, ti accoglierà e ti donerà le sue delizie, quelle che fino ad adesso speravi non ci fossero più.
La tua terra è come tua madre, ti aspetterà sempre a braccia aperte anche se hai commesso errori, anche se l’hai odiata, anche se le hai fatto del male.
Sbagliare fa parte di noi.
Chi sbaglia e riesce a rialzarsi ha vinto.
C’è chi però ha bisogno di qualcuno per riuscirci, forse ha paura o forse è solamente troppo debole.
Ognuno di noi può avere brutti periodi, dove pensa di essere sbagliato, di non essere all’altezza di chi è davanti a lui o di chi vuole aiutarlo; ti senti diverso.
Ma si chiamano così proprio perché hanno una durata e poi svaniscono.
Sono però fondamentali per farci crescere, per farci aprire gli occhi, per farci maturare, per renderci persone migliori.
Safaa Errami