Un giallo a sei mani (Matilde Curti, 1^E)

Era sera tardi e il museo di Bretfield aveva appena chiuso. C’era una nebbia fitta che pian piano iniziava a diradarsi. Da un vicolo stretto spuntarono tre ombre, entrarono nella nebbia, riapparvero davanti al grande arco d’ingresso del museo, per poi scomparire velocemente all’interno. Ad un tratto si sentì un grido soffocato e un pesante tonfo. Tornò, agghiacciante, il silenzio. Pochi secondi dopo, ecco di nuovo le tre ombre.

La mattina seguente le guide e i responsabili del museo si avviarono verso la sala d’ingresso, per accogliere i visitatori, ma videro un cadavere per terra, un corpo immobile steso sul pavimento.

Scioccate, chiamarono la polizia, che in pochissimo tempo arrivò sulla scena del crimine. I poliziotti iniziarono a fare domande ai presenti, mentre il capo della polizia contattava il detective Buzz, il miglior detective privato della città. Buzz aveva risolto casi molto importanti, di certo era il migliore in quel campo. Pochi minuti dopo, eccolo lì. Iniziò ad esaminare il corpo della vittima e dopo una veloce occhiata con la lente d’ingrandimento concluse: “L’assassino è stato furbo, non ci sono tracce di impronte né piccoli peli sul corpo della vittima”. Quindi interrogò le guide per ricostruire l’identità della vittima: “Sì, io la conoscevo … Si chiamava Sophia, aveva 31 anni ed era una guida come noi” balbettò piano una ragazza sulla trentina, ancora scioccata per quanto accaduto.

Dopo una serie domande il detective Buzz disse: “Tornerò domani con i miei scienziati così che anche loro possano aiutarmi. Intanto state tranquilli, coprite il

corpo con un telo e isolate tutto il museo: nessuno deve entrare o uscire da qui”.

Il giorno seguente il detective era di nuovo sulla scena del crimine, con una coppia di scienziati. Gli scienziati presero dei macchinari e li puntarono nella direzione della vittima mentre il detective Buzz camminava lì vicino. Ad un certo punto scorse un piccolo oggetto luccicante a terra, lo raccolse: era un orecchino a forma di teschio.

Buzz gridò: “Bingo!” e di seguito disse: “Abbiamo trovato un indizio, credo che sia dell’assassino”. Gli scienziati gli avvicinarono un piccolo sacchetto di plastica, lui ci mise dentro l’orecchino. Il detective continuò a cercare in quella zona, mentre lo scienziato più basso si era avvicinato al portone del museo: fu lì che trovò delle schegge di vetro sparse in giro. Buzz le guardò per qualche minuto e poi disse: “Anche queste potrebbero essere dell’assassino.” Perlustrò la seconda sala in cui era custodito il diamante del Galles: un diamante appena ritrovato nella regione, di valore inestimabile e in esposizione al museo per poche settimane. Vicino alla teca che lo custodiva vide un pezzetto di carta, era l’involucro di una caramella Mou; allora un po’ spazientito disse: “Cari scienziati, siamo sulla scena del crimine, non potete mangiare caramelle e poi lasciare in giro la carta! Accidentaccio!”. Gli scienziati non lo sentirono e quindi Buzz la buttò.

Passavano i giorni e il detective era sempre più sconfortato perché non aveva trovato ancora niente di concreto. Una mattina Buzz arrivò molto presto al museo e attaccata al portone trovò una lettera anonima indirizzata a lui. La lesse ad alta voce: “Caro detective, le darò un consiglio da amico: vada ad interrogare i Burbazzo. Le assicuro che dopo tutto le sarà più chiaro”.

Il detective pensò: “Ma io i Burbazzo li conosco! Sono i tre fratelli che anni fa fecero quel colpo clamoroso alla banca di Londra. Sono usciti di prigione da poco …”. Il detective, un po’ confuso, entrò nel museo, fece due passi in giro e siccome non trovò nulla di nuovo, si decise a seguire il consiglio appena letto: non aveva altre piste.

Nel pomeriggio si presentò alla porta dei Burbazzo insieme al comandante della polizia. Aprì loro un signore in pigiama con in mano un barattolo gigante di

caramelle Mou: era Thomas Burbazzo. Dietro di lui si intravedeva nel salotto il fratello Etan che leggeva il giornale; il detective notò che aveva gli occhiali rotti,

senza una lente. Il terzo fratello, Dylan Burbazzo, spuntò dal giardinetto sul retro armato di pala e secchio. Buzz si presentò e quindi disse: “Dovremmo farvi delle domande sul caso dell’omicidio al museo.”. Thomas, anche se contrariato, li fece entrare. I tre Burbazzo si sedettero sul divano e ascoltarono attentamente il detective che intanto aveva cominciato a parlare.

“Allora, inizierò a farvi delle domande: Thomas, dove si trovava alle ore 22:30 del 22 marzo?” Quello, un po’ seccato rispose: “Ero in casa con i miei fratelli perché non stavo bene”. Buzz fece altre domande anche agli altri due e alla fine concluse: “Quindi quel giorno nessuno di voi tre è uscito di casa, giusto?”.

Tutti e tre dissero di no. “Strano”- proseguì il detective – “tutte le prove trovate fino ad ora portano a voi! È la fine Burbazzo! Andrete in galera con l’accusa di omicidio!”. Il comandante della polizia, sorpreso per la strana reazione di Buzz, gli disse sottovoce: “Non possiamo arrestare nessuno, le prove non sono sufficienti!”.

Buzz rispose rivolto ai Burbazzo: “Non ho ancora finito … ecco le prove: vicino al corpo della vittima ho trovato un orecchino uguale al suo, Dylan!” e indicando il suo orecchio sinistro gli mostrò l’orecchino trovato. Poi continuò rivolto a Etan: “Che strano, i suoi occhiali sono rotti … sa che al museo abbiamo trovato i pezzi di una lente frantumata?”. Buzz ormai era inarrestabile: le parole uscivano dalla sua bocca come razzi. “Adesso che ci penso, ho trovato una prova che fino ad ora non sapevo portasse a voi. Ora ne sono certo! Caro Thomas, ho notato che lei è un grande mangiatore di caramelle Mou, proprio le stesse di cui ho trovato una carta nella sala principale”.

Il comandante della polizia non lo lasciò finire e disse: “Buzz, perché la carta era lì vicino al diamante e non all’ingresso dove è stata ritrovata la vittima?”.

Buzz, contento della domanda, rispose: “Giusto, comandante! È proprio qui il punto: le loro vere intenzioni erano quelle di rubare il nuovissimo arrivo, il diamante del Galles, solo che qualcosa è andato storto e quel qualcosa si chiamava Sophia. La poveretta non era ancora uscita dal museo quando si è accorta che qualcuno era entrato e ha provato a chiamare la polizia. Questi tre furfanti, spaventati, nel tentativo di fuggire l’hanno uccisa.”

Etan, rosso di rabbia, sbottò: “Come diavolo hai fatto ad arrivare proprio a noi?”.

“Vi ha incastrato una lettera anonima. Adesso è veramente finita, Burbazzo!”

“Maledetto!” gridarono in coro i tre, mentre venivano ammanettati e portati nella volante della polizia.

Buzz, avvicinandosi alla sua macchina, pensava: “Povera Sophia, è andata di mezzo una ragazza innocente!”.

Un giallo a sei mani (Matilde Curti, 1^E)